I periodici musicali sovietici degli anni Venti

Data inizio
30 novembre 2019
Durata (mesi) 
42
Dipartimenti
Lingue e Letterature Straniere
Responsabili (o referenti locali)
Giust Anna
Parole chiave
modernismo, Unione Sovietica, anni Venti

In storiografia alcuni studiosi hanno retrodatato la ‘rivoluzione culturale’ apportata dall’Ottobre collegandone gli esiti con le sperimentazioni estetiche del periodo immediatamente precedente. In questo modo viene ad attenuarsi il valore catalizzante dell’Ottobre in sé e per sé, a meno che non lo si concepisca come un insieme che include anche le esperienze che ebbero un rapporto meno diretto con gli eventi specifici del 1917, ma che furono legate strettamente ai cambiamenti che stavano avvenendo in quegli anni sul piano estetico. È forse possibile estendere uno schema interpretativo di questo tipo anche all’ambito musicale: esso effettivamente pare spiegare con maggiore completezza l’evoluzione estetica di questi anni, e le ragioni dei forti contrasti che si venero a creare nell’interpretazione dell’arte ‘borghese’, che avrebbe assunto, negli anni Trenta e Quaranta soprattutto, un atteggiamento oscurantista quanto surreale.
In questa parabola discendente, gli anni Venti rappresentano un momento ancora virtuoso, sebbene fu proprio in questo contesto che si crearono i presupposti per la paralisi culturale successiva. Essi videro emergere un notevole numero di movimenti artistici e letterari, le cui radici si fondavano su presupposti pre-rivoluzionari: non necessariamente antirivoluzionari in senso politico, ma a tratti caratterizzati da una certa diffidenza dell’intelligencija nei confronti del neonato regime bolscevico. In ambito musicale, come in quello letterario, gruppi e associazioni si formarono o riformarono sulla scia delle avanguardie d’inizio secolo, animando il dibattito da posizioni contrastanti, spesso espresse con un linguaggio mutuato dalla coeva discussione politica.
Questi raggruppamenti testimoniano il clima di apertura e relativa libertà d’espressione garantito dalla politica impostata da Anatolij Lunačarskij, allora dirigente del Commissariato del popolo per l’istruzione. Sotto la sua gestione del ministero sovietico della cultura, l’unica limitazione era che non venisse promosso il ritorno a vecchie correnti o scuole prerivoluzionarie: chiunque accettasse la rivoluzione aveva quindi pieno diritto all’esistenza e all’espressione.
Protagoniste della vita musicale sovietica di questo periodo erano due associazioni, definite, secondo l’uso introdotto dal nuovo linguaggio sovietico, dagli acronimi RAPM e ASM (cfr. più avanti). Questi gruppi erano in competizione per attingere ai mezzi economici dalla sezione musicale di quel Ministero. Sul piano estetico esse si trovavano in un rapporto di reciproca incomprensione, dovuta alla mancanza di un terreno comune di discussione, in una sorta di incommensurabilità degli approcci attuati dalle singole parti.
I sostenitori della cultura musicale proletaria, inizialmente intesa come espressione delle masse popolari si davano lo scopo principale di divulgare l’ideologia marxista-leninista attraverso la musica. Insieme al Collettivo degli studenti del Conservatorio di Mosca, fondato nel 1925, nel 1928 il gruppo diede vita alla RAPM, – l’Associazione russa dei musicisti proletari, guidata dal compositore Aleksandr Davidenko. Ostile alla musica contemporanea e ai classici, questa piattaforma propugnava l’estensione al campo musicale del principio dell’egemonia del proletariato. Attribuiva alla musica la funzione di portare un messaggio sociale rivolto alle masse, e generato dalle stesse, anche quando non fossero preparate tecnicamente a livello professionale.
Sul fronte opposto si collocava l’Associazione per la Musica Contemporanea, fondata nel 1924 a Mosca come filiale sovietica della International Society for Contemporary Music che si era formata in Europa negli anni immediatamente precedenti. Essa contava tra i suoi membri critici e compositori, come Boris Asaf’ev, Nikolaj Mjaskovskij e Jurij Šaporin. Coltivava rapporti con i colleghi occidentali per far conoscere le avanguardie europee anche in URSS e sostenere analoghe iniziative locali.
Questo progetto intende indagare le discussioni sorte tra i rappresentanti di questi poli opposti, espresse sui periodici dell’epoca qui sopra evocata, in particolare su due riviste moscovite: Muzykal’naja kul’tura (Cultura musicale) e Sovremennaja muzyka (Musica contemporanea). In entrambi i casi si tratta di periodici di consistenza limitata, in quanto nel giro di pochi anni questi gruppi si trovarono costretti a soccombere in una situazione che, soggetta a repentini cambiamenti, instaurò negli anni Trenta un rigido controllo sulla cultura.
D’altra parte, la nuova Russia fu visitata da importanti compositori ed esecutori, invitati a proporre la loro musica in concerti sinfonici e nei teatri d’opera. Sotto gli auspici dell’ASM vi si recarono Darius Milhaud, Bela Bartók, Paul Hindemith, Alfredo Casella e Alban Berg. In particolare, Casella tenne a coltivare un rapporto stretto con gli esponenti del modernismo sovietico, che in alcuni casi gli chiesero di contribuire al dibattito in corso con articoli teorici e aggiornamenti sulla situazione italiana da pubblicare sulla rivista della ASM.
Anche nei casi in cui non si recassero fisicamente in tournée, autori come Schönberg, Křenek e Honegger videro eseguite le proprie composizioni in URSS in un momento in cui il dialogo con l’Europa era ancora aperto. Attraverso la sua attività organizzativa in ambito concertistico, e la pubblicistica rappresentata da Sovremennaja muzyka, la ASM rappresentò quindi un canale di penetrazione della cultura europea in URSS di cui si conosce ancora poco.
Questa produzione figurava come problematica nel contesto neo-sovietico, dove i musicisti proletari e alcuni professori dei conservatori la interpretavano come retaggio della decadente cultura borghese, e vi leggevano un eccesso di ‘tecnicismo’ (il ‘formalismo’) che frustrava le più semplici velleità compositive dei musicisti proletari e le supposte capacità ricettive del pubblico.
Questi dibattiti interessantissimi sul piano estetico e teorico coinvolsero anche musicisti italiani, il cui ruolo non appare ancora studiato in modo sistematico. Messe a tacere a partire dagli anni Trenta del Novecento, quando in URSS furono soppresse tutte le associazioni per dar luogo a singole organizzazioni di categoria (le Unioni, nelle quali ai professionisti delle discipline venne imposto il canone unico del Realismo Socialista), queste discussioni sono state scarsamente riprese sino a tempi recenti, quando su una maggiore possibilità di dar voce a istanze del passato ha prevalso, insieme al giudizio antisovietico, la maggiore attrattiva per le questioni tra singole personalità e potere (cfr. Tedeschi, Messinis-Scarnecchia). Se in ambito locale le autorità sovietiche manifestano ancora oggi una difficoltà a confrontarsi con un passato difficile quanto recente, in ambito internazionale assistiamo a un rinnovato interesse per l’arte sovietica (anche di regime, cfr. Hakobian), e quindi a un periodo cronologicamente più avanzato, e connotato da caratteristiche differenti. Qualche eccezione è rappresentata in questo senso dagli studi di Marina Frolova-Walker, Patrick Zuk e (parzialmente) Richard Taruskin, ma anche la prospettiva scelta da questi insigni studiosi pare comunque orientata a ricercare la matrice sovietica negli anni Venti, più che a indagare le istanze dei musicisti estranei alla ratio politica. Infine, la condizione degli studi sull’argomento si spiega anche con lo scarso contatto tra la musicologia russa e quella italiana, che dimostrano approcci diversi a questioni poste in modo apparentemente simile.

Partecipanti al progetto

Anna Giust
Professore associato
Aree di ricerca coinvolte dal progetto
Letteratura russa e letterature slave comparate
Letteratura russa

Attività

Strutture

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